STORIA, MITO E RACCONTO

Divinità in viaggio sulla Sella del Diavolo


Un luogo fuori dal comune stava emergendo dal mare. Gli angeli lo guardarono rapiti dal cielo. Qui la natura stava scolpendo piano uno dei capolavori più suggestivi di arte paesaggistica tra l’azzurro del mare, che culla rocce antiche, e terre gravide dei colori della macchia mediterranea. Così bella e incantevole, come una perla preziosa custodita nella sua conchiglia, che nasce già luminosa e iridescente ed esprime il suo eterno fascino.   

Dopo fugaci apprezzamenti, gli angeli notarono che nella parte meridionale si era formato un grande golfo in cui le onde spumeggianti del mare trovavano la loro quiete naturale. Pensarono che un luogo così eccezionale andasse protetto da ogni sciagura proveniente dal cielo e dagli abissi del mare; così chiesero al Dio creatore di poter sorvegliare questo angolo di mondo per preservarlo da ogni insidia e vegliare sugli uomini che avrebbero popolato quella florida terra. Avuto il benestare da Dio, gli angeli scesero a stormi dal cielo per presidiare questo luogo d’incanto. Da quel momento in poi, tra i popoli limitrofi, si sparse la voce che il golfo era protetto dagli angeli celesti e gli abitanti vissero anni tranquilli.

Ma il diavolo, invidioso di tanto benessere, radunò le sue schiere di angeli caduti e li mosse contro gli angeli per il controllo del Golfo. Si scatenò così una furiosa battaglia. Lo scontro si protrasse a lungo, le sorti non sembravano favorire né l’uno né l’altro schieramento. Quand’ecco che un angelo ebbe una santa ispirazione e tracciò nel cielo il segno di una croce. I demoni di fronte a quel gesto perdettero ogni vigore; così tutti gli altri angeli colsero l’esempio e tracciarono nel cielo miriadi di croci. I demoni, ormai impotenti e privi di forza, sprofondarono nell’abisso del mare, dal quale emerse un enorme scoglio a forma di sella, che dalla spiaggia s’inoltra verso il largo e sembra ancora puntare verso il cielo. 

Questo è il racconto che i vecchi tramandano sulla creazione del promontorio chiamato la Sella del Diavolo, e i naviganti locali, quando passano accanto ad esso, si fanno, ancora oggi, il segno della croce, come fecero gli angeli a difesa del golfo. 

Un’altra versione della leggenda, più diffusa, racconta che fu l’Arcangelo Gabriele ad emergere trionfante dalle acque del golfo di Cagliari e disarcionare Lucifero dal suo destriero celeste. Il diavolo, così, cadde dal cielo e, sfracellandosi sul golfo, finì a cavalcioni sul luogo che prese le sembianze, appunto, di una sella. 

La Sella del Diavolo è un promontorio di origine calcarea dell’era mesozoica, situato alle porte del capoluogo sardo, il suo inconfondibile profilo impreziosisce questo tratto di costa rendendola unica e riconoscibile. Il Golfo di Cagliari è chiamato anche “Golfo degli Angeli”, a motivo di questa famosa leggenda. Di sicuro questo luogo è davvero colmo di richiami storici ad antiche corna, tracce di culti e pratiche soppiantate tra schiere contrapposte di uomini! 

All’interno del bacino mediterraneo, le religioni antiche viaggiano: viaggiano gli dèi nei racconti mitologici, si stabiliscono in diversi luoghi, si legano ad una comunità che istituisce, radica e perpetua il loro culto; e viaggiano i culti sulla scia dei profeti, dei migranti, dei deportati, dei rifugiati e di quanti vanno in cerca di fortuna. Le religioni antiche hanno, infatti, confini liquidi, si sviluppano seguendo continue reti di relazioni, vengono trapiantate e si mescolano. Gli dèi passano da una cultura all’altra, vengono assorbiti da una divinità emergente che ne raccoglie gli attributi, come attestano i vari epiteti che la demarcano. La divinità viaggia e muta, dunque, la sua immagine, così come mutano le strategie rituali, il ruolo dei testi, l’immaginario mitico, l’atteggiamento nei confronti della morte e dell’aldilà, il radicamento di un santuario, il rapporto con il potere.  

Pensate che proprio qui, sulla cima di questo promontorio che divide in due il golfo che porta a KRLY (antico idioma della città di Cagliari, che si pronuncia ”Karalis”) tra il blu cobalto e gli arbusti della verde macchia mediterranea, si stagliava in piena età punica, un tempio bianco. Proviamo ad immaginare quassù una notte di plenilunio qualsiasi di quei tempi. Era, questo, un momento magico di passaggio: il ciclo lunare è arrivato al culmine, le energie di tutte le fasi precedenti e successive sono contenute in quel disco perfetto e luminoso che appare nel cielo. Un diffuso chiarore si espande sulla terra, incendia d’argento il mare e, sotto la sua luce feconda, ecco il santuario accendersi di canti e di vita: un brulicare di gesti immemori, depositari di una conoscenza antica e onorata con il susseguirsi simbolico di rituali propiziatori legati al ciclo della rinascita della luna e dell’esistenza stessa. Un cumulo di macerie è quel che oggi resta di un tempo glorioso. Il santuario era dedicato alla Dea Astarte, come ci attesta il ritrovamento, emerso dai primi scavi effettuati dall’archeologo Filippo Nissardi nel 1870, di un’iscrizione punica con la dedica alla dea Astarte di Erice di un altare in bronzo donato al tempio.  

Gli scavi hanno fatto riemergere, anni fa, le mura dell’antica Chiesa dedicata a Sant’Elia al Monte, risalente al 1100 d.C. ed edificata con i resti del tempio punico. Nel corso del terzo cantiere di scavo sono emerse le strutture medievali della chiesa (o i locali annessi), le pavimentazioni dell’aula e sono state messe in rilievo le giaciture di crollo delle pareti dalle quali si evince che l’ambiente presente doveva avere un’altezza di circa 5 metri. Una testimonianza scritta del 1089 ricorda la donazione da parte del Judikes Orzoco di Cagliari, ai monaci Vittorini di Marsiglia, proprio di una chiesa dedicata a Sant’Elia al Monte. Gli archeologi puntano a ricostruire l’intera storia del luogo, rivolgendo gli studi al tempio dedicato alla dea Astarte, tesi confutata anche dalla vicinanza nella zona di due grandi cisterne (una di epoca punica e l’altra romana), di antiche canalizzazioni, che forse servivano per l’approvvigionamento del tempio, e di una strada cerimoniale. 

La quinta campagna di scavi iniziata nel 2017 ha fornito elementi interessanti che fanno da corollario ai dati già raccolti nelle precedenti campagne, portando alla luce le strutture della Chiesa e le prime evidenze di un ambiente di età romana con pavimento in cementizio decorato con motivo a reticolo. Il proseguo delle indagini è finalizzato ora all’individuazione degli elementi più antichi dell’impianto ecclesiastico e alla loro connessione con il tempio punico. 

Ma chi era, dunque, Astarte, raffigurata non a caso con ampie corna ricurve (richiamo alla “Vacca Sacra”, dalla quale tutte le cose sono nate e dalla quale tutto trova nutrimento). Fu chiamata la Forte, la Celeste, Signora del mare e delle navi, Signora delle Battaglie, Dea della Tempesta, Signora dell’Amore, Grande Utero. Fu associata al pianeta Venere e la sua caratteristica di madre portò a considerarla dea protettrice della natura e della fecondità dei campi. Fu protettrice dell’Amore e Dea della Guerra, della Fertilità e dei Naviganti. Nei secoli ebbe molti volti, che il passato ha idealizzato sotto forma di innumerevoli dee: l’antica Inanna dei Sumeri, la semitica Ishtar, le egiziane Hathor, Iside e Sekhmet, l’ittita-kurrita Khepay, l’ellenistica Atargatis, Afrodite e la Venere romana, sono solo alcuni echi di quella forza generatrice del divenire capace di conservare il suo nucleo di luce perenne. Parlo dell’Eterno Femmineo, oggi flebile riflesso di quello che un tempo irrompeva con tutta la sua forza e bellezza, capace di risuonare come tuono nel cielo, scaldare cuori, agitare fiumi, coscienze e far germogliare i sensi.

Torniamo per un attimo alla rievocazione notturna delle pratiche che si svolgevano in questo tempio bianco. Siamo proprio sicuri che furono solo canti ad ergersi tra le stanze di questo tempio sacro? Pare proprio di no! 👀 Erodoto ci racconta, infatti, che “dove si trovava un tempio dedicato ad Astarte, almeno una volta nella vita, le donne usavano salire al santuario e concedersi ad uno straniero, accettando il denaro in cambio del connubio sessuale”.  

Eh, sì, avete letto bene, si parla proprio della pratica della prostituzione sacra. Pare, però, che questa obbligatorietà, tanto decantata da Erodoto, sia volutamente esagerata, restava in vero nel pieno esercizio della libertà. Sulla base dell’intera documentazione disponibile in materia, si possono distinguere due forme, due livelli per così dire, di prostituzione legate al culto: una definita templare, praticata regolarmente da donne consacrate, “sacerdotesse” specifiche che vivevano ed esercitavano nel santuario presentando con orgoglio la propria condizione di servitù nei confronti della divinità; quella chiamata temporanea o eccezionale, accettata da donne libere che vi si sottoponevano in particolari periodi della propria esistenza. Valerio Massimo, nella sua raccolta di detti e fatti memorabili chiamata “Factorum ac dictorum memorabilium Libri IX”, ci riporta e specifica che “le donne di età nubile (le “Matronae”) si recavano al tempio della Dea (“Fanum Veneris”) e partendo di là esse raccoglievano il denaro per la dote nuziale, oltraggiando la propria pudicizia, disposte a impegnarsi con un vincolo così disonorevole in un legame tanto onesto come è quello coniugale”. Colpisce constatare quanto l’idea di onta e oltraggio sia sempre legato a diverse e plurime esigenze culturali.   

Nel tempio dedicato alla Dea Astarte nell’antica città fenicia di KITION, l’attuale Larnaca, gli studiosi hanno trovato un’iscrizione che ha fornito elementi importanti alla pratica consumata in nome o all’ombra di Astarte. L’iscrizione risale al 450 a.C. circa e contiene, dipinto su una tavoletta di alabastro, l’elenco delle spese sostenute in due mesi dall’amministrazione del santuario. Vi sono registrati i salari destinati, nel giorno di novilunio, a varie classi di personale e a vario titolo: costruttori, fornai, barbieri, artigiani, il capo degli scribi, un responsabile dell’acqua, pastori e altri. Compare anche una specifica lista di persone di ambo i sessi “chiamato ad allietare il rito sacrificale e compensate per tale intervento”, dedito cioè alla prostituzione sacra.

La pratica sopravvisse con nuove accezioni e sfumature anche durante i secoli successivi. Una preziosa testimonianza a riguardo ce la riporta Luciano di Samosata, che nel suo trattato “DE SYRIA DEA”, ci parla di una festa annuale dedicata ad ADONIS (oggetto di un importante culto nelle varie religioni legate ai riti misterici) in cui gli abitanti di Biblo “fanno un gran lutto in tutta la contrada. Quando hanno finito di battersi e piangere, essi celebrano dapprima i funerali di Adonis, come se fosse morto, poi il giorno seguente, raccontano che egli vive e lo portano all’aria aperta; inoltre si radano la testa come fanno gli egiziani dopo la morte di Apis. Quanto alle donne che non vogliono tagliarsi i capelli esse si liberano dall’obbligo con un’ammenda, che raccolgono in questo modo: devono essere pronte, durante un intero giorno, a trarre profitto della propria bellezza. Il luogo dove esse si trovano è accessibile solo agli stranieri e il denaro che ottengono diventa un’offerta per Afrodite”.  

Il tempio di Astarte di Capo Sant’Elia si propone come uno dei punti rilevanti di una sorta di conosciuto “portolano sacro”, più propriamente chiamati periplo in epoca arcaica, che guidava l’antica rotta all’interno del Golfo di Cagliari. I punti critici di approdo e di accompagnamento della navigazione erano segnati da luoghi sacri intitolati a tre divinità legate a questa rotta, Astarte, Ba’al Shamim e Melqart: il promontorio di Capo Sant’Elia segnato dal tempio di Astarte, con il possibile scalo temporaneo di Marina Piccola; il promontorio del quartiere Marina segnato da uno spazio di culto a Ba’al Shamim localizzabile presso l’odierna chiesa di Sant’Eulalia, con il nuovo porto dell’area del Gesus, oggi interrato; il promontorio della Città mercato di Santa Gilla con il tempio di Melqart, sede del porto cittadino. A essi si aggiunge, più arretrato, ma su un’altura che guarda la linea di costa vicino al mare, il santuario di Eshmun in viale Trento. Un percorso sacro, quindi, che, a quei tempi, racchiudeva la città di Krly, ne definiva i confini, il ruolo e la natura giuridica. 

La funzione di guida, sacra e profana, della navigazione rimane costante in tutta la storia del promontorio, come mostrano i resti della chiesa di Sant’Elia al Monte, sorta nello stesso luogo sacro, per soppiantare pratiche pagane dure a morire e riprendere la posizione di guida e di nuovo controllo delle vicine saline. La continuità di guida è data dalla costruzione nel 1282 della torre di avvistamento costiera, con la funzione di segnalare non solo i pericoli per la città, ma anche quelli per i naviganti, tanto da assumere il nome di Torre della Lanterna, per via del lume che veniva acceso sulla sua sommità in continuità con la funzione del tempio punico, per il quale non si esclude il ruolo di faro costiero. Significativamente, durante la seconda guerra mondiale, a lato della torre e della chiesa, ormai in stato di ruderi, viene edificato un fortino che guarda verso il mare, una vedetta che riprende, ormai del tutto desacralizzato, il ruolo degli edifici precedenti. Ma l’aspetto sacro non abbandona mai del tutto questo promontorio, lo si respira tutt’oggi tra i sentieri cerimoniali verso gli antichi ruderi. 

L’antica Signora dei buoni venti, che per i Fenici era proprio Astarte, fisicamente ormai lontana dalle due corna (Karnaim) del promontorio della Sella del Diavolo, ha trovato casa in un nuovo approdo con il racconto di fondazione di un santuario dedicato ai naviganti, che tuttora accompagna e protegge: Nuestra Señora del Buen Ayre che oggi, viene qui chiamata più familiarmente Bonaria. 

In Sardegna, i secoli successivi hanno visto, anche, nascere e delinearsi lungo la nostra tradizione la figura di una donna che ha inglobato su di sé la pratica della prostituzione sacra, trovando meccanismi propri di sviluppo. Parlo della ORASSIONARJA, custode del potere della preghiera magica che metteva in relazione le richieste del popolo e le disposizioni della divinità. Figura ibrida tra l’antica sacerdotessa-prostituta punica e la Bruxia, figura temuta ma invocata nei paesi per i suoi servigi magici di aiuto resi gratuitamente. Affinché i medicamenti e le orazioni somministrate risultassero pienamente efficaci, esse dovevano avere almeno un figlio, pur non essendo maritate. Il bambino era, inevitabilmente, non legittimo (“BURDOS”) perché “un uomo per bene della comunità non si sarebbe mai unito in matrimonio con una donna ritenuta di facili costumi”. Tra queste donne veniva selezionata e abilitata a divenire orassionarja e somministrare formule e guarigione, quella che mostrava simpatia e affinità particolari con la capra. 

🐐 Ma perché proprio la capra, direte voi? Non certo per l’associazione negativa, di derivazione cristiana, della capra alla lussuria più sfrenata ma perché, anticamente, si riconosceva alla capra il suo forte valore simbolico di invulnerabilità a qualsiasi malattia. Oggi giorno sentiamo affermare da più veterinari che la patologia del tumore è praticamente assente nella capra, in altre parole questa malattia devastante per l’uomo sembra non toccare più di tanto la capra. Ricordo a tal proposito che tanti anni fa un veterinario siciliano, Liborio Bonifacio, nel territorio di Agropoli, tentò di ricavare un vaccino anti-tumorale proprio dalle capre ma a quei tempi la ricerca non dette risultati. Bè, più che plausibile dato che il Siero Bonifacio in questione fu ricavato in maniera grossolana da sterco e urina di capra. Se dal “letame nascono i fiori”, come cantava poeticamente De Andrè, di certo, non vaccini per tumori!

Recenti studi su elefanti (che notoriamente si ammalano raramente di tumore come le capre) condotti da un gruppo di ricercatori americani dell’University of Utah di Salt Lake City, hanno dimostrato che questi animali presentano, nel Dna, 20 copie di un gene oncopressore, chiamato TP53, che avrebbe un ruolo protettivo nella moltiplicazione cellulare incontrollata. Noi ne abbiamo solo una copia ed è mutata nella maggior parte dei tumori. Attualmente, è in corso la progettazione di farmaci che siano in grado di aumentare le concentrazioni intracellulari di p53 allo scopo di indurre la morte di cellule mutate che potrebbero o hanno già portato alla formazione di un tumore. I ricercatori hanno identificato un altro componente regolato da questo P53: il LIF6 che induce il suicidio cellulare programmato delle cellule con DNA danneggiato, impedendo di proliferare e dare origine a una nuova popolazione di cellule mutate potenzialmente cancerogene. Viene chiamato gene zombie, ma è, piuttosto, uno pseudogene rianimato, ovvero una sequenza nucleotidica molto simile a un gene che però non genera una proteina funzionale. 

Anche il latte di capra presenta da sempre note proprietà benefiche. Ora è dimostrato che il tipo di alimentazione dell’animale può influire ad aumentare il contenuto di acido linoleico presente nel suo latte che, secondo una serie di studi recenti, esercita una potente azione antitumorale ed antinfiammatoria.Da uno studio pubblicato su bioRxix, risulta che un gruppo di ricercatori della Nuova Zelanda stia sperimentando la produzione di un latte di capra che al suo interno presenta un comune ed esoso farmaco antitumurale, il cetuximab. Vedremo cosa attesteranno altri studi inerenti.  

Quel che è certo e attinente alle tematiche proposte sui resti del Tempio di Astarte è che, nei giorni odierni nel campidano di Cagliari, la prostituta viene definita “craba de appitzu ‘e monti” (capra di montagna). Una rievocazione maliziosa ed epocale, un eco divertentissimo se pensiamo alle orassionarja e al loro rapporto amicale da #Bestfriend con le capre! 

Una riflessione, più seria, riguarda la riabilitazione della figura dei “Burdos/Burdittos”, avvenuta nei secoli proprio grazie al lavoro delle orassionarjas. Come racconta l’antropologa Dolores Turchi, “una donna di Lula alla quale morivano i figli dopo qualche giorno si rivolse a una vecchia orassionarja che le consigliò di prendere in prestito “sa estenda ‘e su burdu” (= il caminino di un bimbo bastardo) e di farla indossare al suo bambino appena fosse nato. In questa maniera riuscì a salvare gli ultimi tre figli. Indossare il caminino o la cuffietta di un bimbo bastardo era come mettere indosso al bimbo in pericolo un talismano”. 

Qui siamo di fronte a un rituale magico cosiddetto basico, ovvero la manipolazione di una certa energia per produrre risultati voluti o programmati. Questa “energia” è il tessuto dell’universo al di là della nostra percezione. Tutta la ritualistica esoterica incanala questa tipologia di energia: per mezzo di un oggetto che la richiama si va alla fonte, ovvero si trae parte di quella energia specifica e con l’intento e la dovuta concentrazione là si incanala, facendola diventare così il carburante per la manifestazione di uno specifico intento. Chiamatela come volete, legge di attrazione o quant’altro, sono solo nomi e sfaccettature di nessuna importanza. Interessante è riuscire a capire perché veniva attribuita ai “burdi” una specifica valenza magica connessa al divino. Forse, l’idea di un bimbo non previsto era fortementelegato a quella della sacralità in quanto frutto di un desiderio non trattenuto e, perciò, avente in esso un seme profondo.

Bisogna essere consci e ben cauti del fatto che ogni azione, atta a manipolare l’energia per la manifestazione, ha in sé una specifica impronta digitale. E, come tale, siamo perciò legati a tutte quelle vibrazioni che si sviluppano come conseguenza. In altre parole, occhio a quel che si chiede e a come! Bene, ora mettetevi comodi e iniziamo il nostro corso intensivo di magia applicata alla Hogwartz: come allontanare cagaca##i e bruciare i grassi spostando energie e masse adipose. Ma magaaaaariiiiiiiii, eh?! 😜 

Divagazioni a parte, merita davvero riscoprire i colori e le magiche atmosfere che potrai assaporare sul promontorio della Sella del Diavolo. Primo fra tutti, un panorama capace di togliere e dare fiato! Scoprilo e scopriti con lui! Se vuoi vivere le magie di questo territorio unico dai pure un’occhiata alle nostre esperienze dedicate alla Sella del Diavolo ricche di racconto e di buon vino: “Pic Nic sulla Sella del Diavolo” e “Cagliari nel Blu: brindisi sulla Sella del Diavolo! ”. 

Buon viaggio di scoperta!

Manuela Sanna 

FILOS, Racconti di Viaggio di Manuela Sanna. Tutti i diritti riservati © 

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